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LA FONDAMENTALE PARTECIPAZIONE FEMMINILE NELLA LOTTA DI RESISTENZA PER LA LIBERAZIONE DELL'ITALIA DALLE CAROGNE FASCISTE


Facciamo chiarezza, I tedeschi si sono Arresi ed erano semplici assassini in guerra.
Si sono arresi e li abbiamo lasciati tornare a casa.
Le carogne furono i #fascisti, per questo se pure simbolicamente nel numerico di 6 o 7... sono stati impiccati dando vita alla #GIUSTIZIA e alla #Liberazione



Ricordate , se non fosse stato per i fascisti, molte stragi in Italia, i tedeschi non le avrebbero mai potute fare.


La partecipazione femminile fu fondamentale per la lotta di Liberazione e rappresentò una delle prime occasioni in cui le donne parteciparono in prima fila, insieme agli uomini, a un momento cruciale della storia italiana. Lasciarono le cucine, la cura delle proprie famiglie, i posti di lavoro, si ribellarono e andarono a marciare per il pane e la libertà, incrociarono le braccia per protesta. In tante parteciparono con gli uomini alla lotta armata.


Ma la Resistenza non si fece solo coi fucili e le donne si fecero carico di aspetti cruciali di logistica, organizzazione e comunicazione.


Si occuparono della stampa dei materiali di propaganda, dell’attacchinaggio dei manifesti, della distribuzione di volantini, dell’approntamento di documenti falsi. Prepararono i rifugi, i nascondigli, i luoghi di ricovero per i partigiani e spesso svolsero mansioni infermieristiche. Organizzarono il trasporto di munizioni, armi, esplosivi, procurarono gli indumenti. Si incaricarono del delicato passaggio delle informazioni divenendo un essenziale collegamento tra le brigate. Raccolsero medicinali e viveri, portarono avanti il fondamentale ruolo d’organizzazione e supporto all’azione dei e delle combattenti.


Nonostante ciò, il contributo femminile alla lotta di Liberazione risulta visibilmente sommesso proprio per la sua funzione spesso nascosta, svolta in molti casi dietro le quinte. La presenza delle donne era costante nella gestione ma si collocava nella maggior parte dei casi ai margini delle più visibili operazioni di lotta clandestina dei partigiani. Nonostante ciò, la loro partecipazione aveva un ruolo chiave nella cornice organizzativa.


L’ingresso delle donne nel movimento clandestino viene fatto risalire a un fatto del 1941: a Parma, il 16 ottobre, durante una violenta rivolta in seguito all’ulteriore diminuzione giornaliera della razione individuale di pane, le donne assaltarono un furgone della Barilla che trasportava un carico di pane. Non appena si sparse la notizia, altre donne uscirono dalle fabbriche e formarono dei cortei spontanei in molte vie della città, le più politicizzate organizzarono le operaie e le casalinghe che manifestarono numerosissime, molte tra loro furono arrestate.


Questa protesta fu chiamata lo sciopero del pane e rappresentò un momento importante dello sviluppo del movimento clandestino di Liberazione. Da quel momento sempre più donne entrarono attivamente tra le file della Resistenza, sia in quella civile che nella lotta armata.


La presenza femminile fu particolarmente alta nei Gruppi di Azione Partigiana (GAP) e nelle Squadre d’Azione Partigiana (SAP). Essenziale fu la loro funzione di collegamento: le messaggere superavano le linee tedesche per portare i messaggi da una parte all’altra dei fronti di combattimento. La staffetta era colei che curava i collegamenti tra le varie formazioni impegnate nella lotta armata permettendo la trasmissione di ordini, direttive, informazioni, la consegna di beni alimentari, medicine, armi, munizioni e stampa clandestina.


Le donne erano meno soggette ai rastrellamenti e potevano circolare, a piedi o in bicicletta, senza destare eccessivi sospetti. L’organizzazione della Resistenza fece quindi strumentalmente leva su quegli stereotipi di genere che tendono a considerare la donna meno pericolosa dell’uomo. Ma in tante vennero torturate, stuprate e uccise, perché solitamente non giravano armate e quindi si trovavano nell’impossibilità materiale di difendersi.


Un’altra iniziativa importante prevalentemente gestita da donne fu il Soccorso rosso, una sorta di organizzazione di mutua assistenza con la funzione di reperire viveri o denaro per le famiglie dei militanti in difficoltà.


Inoltre le donne organizzavano scioperi e agitazioni di carattere femminile: i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai Combattenti per la libertà (GDD) fondati a partire dal novembre del 1943, sono la prima grande e unitaria organizzazione femminile di matrice politica e non partitica.


I gruppi erano aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale, fede politica e religiosa, operavano nelle campagne, nelle città, nelle scuole, nelle fabbriche, negli uffici, supportavano le brigate partigiane organizzando le interruzioni delle vie di comunicazione e l’occupazione dei depositi alimentari. Erano agitatrici nei luoghi di lavoro e organizzavano una rete di soccorso e di assistenza per partigiani, sbandati, famiglie dei deportati, dei caduti e dei carcerati. I GDD, riconosciuti ufficialmente dal Comitato di liberazione dell’Alta Italia (CLNAI) contarono tra le proprie fila ben 70mila iscritte.


In tutta quella parte dell’Italia che rimase sotto il dominio tedesco furono costituite formazioni militari femminili di Volontarie della Libertà che organizzavano atti di sabotaggio nelle fabbriche con l’obiettivo di bloccare la produzione destinata alla Germania e predisponevano squadre di infermiere e posti di pronto soccorso.


Anche tra le pareti domestiche spesso le donne organizzavano dei veri propri laboratori per preparare indumenti ai partigiani, per raccogliere le armi e le munizioni, per recuperare e ridistribuire gli alimenti ai partigiani e alle loro famiglie o per nasconderli, e per la prima volta nella storia, la partecipazione alla guerra, si caratterizza come un’assunzione di responsabilità e di un ruolo autonomo.


La Resistenza, quindi, in Italia rappresentò una vera e propria rivoluzione sociale delle donne, riconosciute finalmente come cittadine e protagoniste, come portatrici di diritti civili e politici.



Rivoluzione già iniziata in parte nella prima Guerra Mondiale e durante i primi anni della Seconda, nel momento in cui moltissimi uomini partirono per il fronte. Oltre ad accudire la famiglia, le donne iniziarono sempre più a lavorare fuori casa e ad assumere spesso ruoli che erano sempre stati degli uomini. Ma soprattutto rivendicarono nuovi diritti, si presero spazi nella vita pubblica e sociale, assunsero un nuovo ruolo nella vita economica e lavorativa della società.


Nonostante ciò, dopo la Liberazione tanti uomini e compagni di lotta tentarono di nuovo di rinchiudere le donne dentro le gabbie delle proprie case. L’oppressione nei loro confronti, al rientro in patria, fu in certi casi piuttosto violenta. Alcune vennero improvvisamente considerate delle poco di buono per aver combattuto accanto agli uomini nelle montagne, cancellate dalla memoria storica del paese, sminuite e obliate dalla Resistenza che esse stesse contribuirono a mettere in piedi. Partigiano era solo chi fece parte di formazioni regolarmente riconosciute per almeno tre mesi e chi condusse almeno tre azioni di sabotaggio o di guerra, e l’azione femminile difficilmente rientrò in questi parametri.


Proprio per questa Resistenza taciuta, per questo buio storico (che lentamente sta ritrovando la propria luce e importanza) vogliamo ricordare tutte quelle donne antifasciste che hanno combattuto coraggiosamente credendo strenuamente nel valore imprescindibile di ogni libertà. Perché proprio grazie alla Resistenza il movimento di emancipazione della donna prese vigore e iniziò quel lungo e importante cammino di stravolgimento del potere e dei ruoli chiamato femminismo.


ECCO LA FINE CHE MERITANO LE CAROGNE FASCISTE E TUTTI QUELLI CHE DISONORANO LA REPUBBLICA, LA COSTITUZIONE E LE SUE LIBERE ISTITUZIONI REPUBBLICANE.


Ricordiamo e ringraziamo:
  • le 35.000 donne che operarono come combattenti
  • le 20.000 patriote, con funzioni di supporto
  • le 70.000 donne iscritte nei GDD
  • le 4.653 donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti
  • le 2.756 deportate nei lager tedeschi
  • le 2.900 donne giustiziate o uccise in combattimento
  • le 512 commissarie di guerra
  • le 1.700 donne ferite
  • le 19 donne medaglia d’oro
  • le 17 donne medaglia d’argento

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